Capitolo Va: Sangue per i Corridori di Sangue

Partecipanti: Capitan Jack Daniels, Sokov, Polena, Becco, Zatarra, Kelgar

Riassunto a cura di Polena.

La nave della Ruota Dentata si avvicina al porto di Stadtrich, mentre la ciurma decide come procedere. Dalle informazioni che hanno, la cittadina è un covo di delinquenti e lestofanti, non sarà difficile confondersi con la gente del posto. Immaginando che la voce della conquista dell’isola e la morte di Leida da parte di un gruppo di pirati provenienti dal Gorgo sia giunta fino a queste terre, decidono di ammainare il Jolly Roger e di presentarsi come un gruppo di mercanti provenienti dall’isola di Leida.
La nave arriva che è sera tardi, non si sa se a causa di qualche errore di calcolo del navigatore o se il viaggio abbia richiesto più tempo del previsto. Attraccata la nave e scesi al porto, quello che appare ai loro occhi è una città alquanto deprimente, coperta da una fitta nebbia giallastra e nauseabonda. Si fa
fatica a vedere i moli e chiazze dal bluastro al rosa colorano la coltre calda e appiccicosa che ricopre le case. Davanti al porto ci sono due edifici. Quello più piccolo ha un’insegna con qualche lettera mancante, ma si intuisce ci fosse scritto “DOGANA”, la cosa fa sorgere qualche dubbio. L’edificio più grande sembra una taverna, sopra al portone d’ingresso troneggia un’Aquila scheletrica e dall’interno proviene molto rumore di gente che parla, beve e si diverte.
Il gruppo decide di avvicinarsi alla taverna definendo i dettagli del piano d’azione. Zatarra ricorda al gruppo alcune ovvietà da non dare per scontate:

– Zatarra : “Allora, siamo chiaramente dei contrabbandieri e, visto che nessun contrabbandiere si presenterebbe mai come tale, possiamo dire di essere mercanti dell’isola di Leida”

– Polena : “beh, ma se qualcuno mi chiede qualcosa, posso sempre rispondere di farsi i
cazzi suoi!”

-Zatarra : “ Si Polenuccia, ma visto che siamo qui perché dobbiamo stimolare la
conversazione è meglio portare a parlare chiunque”
– Khelgar : “oh, beh, ma Polena è brava a stimolare…”


Da vicino l’Aquila dell’insegna non appare scheletrica bensì denutrita, scelta curiosa, e la porta a doppio battente è aperta. All’interno della taverna ci saranno una quarantina di persone intente perlopiù a bere, giocare a carte e parlare a gran voce. Dietro il bancone una ragazza giovane, che fa cenno al gruppo di avvicinarsi e poi corre via tra i tavoli e un uomo più anziano, ha una benda con due stelle a coprire gli
occhi, sembra cieco.Tutti si avvicinano al bancone per scambiare due parole con l’Oste. L’uomo è effettivamente cieco, annusa l’aria e chiede:


– Oste : “mmm siete qui da poco non è vero?”
– Zatarra : “beh sì, siamo arrivati stasera a Stadtrich”
– Oste : “no, intendo qui a Yortik, siete nuovi. Benvenuti”

la straordinaria perspicacia olfattiva dell’uomo indispone leggermente alcuni del gruppo che tentano subito di capire le intenzioni dell’uomo. L’oste nel frattempo allunga le mani per toccare i visi dei nuovi arrivati. Polena, vedendo le mani protese dell’uomo, non esita ad appoggiarci le tette, del resto se gli uomini dotati di vista si ricordano più il suo decollete che il viso, non vede perché fare eccezione per l’oste. Becco sporge la testa perché tocchi le sue corna, Zatarra gli stringe la mano mentre continua a parlare, Khelgar si fa palpare e Sokov si descrive a parole. Il gruppo chiede una birra o qualsiasi liquore locale da assaggiare. L’uomo si mette quindi a cercare una bottiglia che sembra essere fuori posto, chiede un volontario per aiutarlo. Polena si propone e, da dietro al bancone, nota che tutte le bottiglie di alcolici presentano basi fruttate.
– Oste : “avete ragione, la via principale di Stadtrich è detta Via del Frutteto, sulla base di una leggenda. Un viandante che ogni giorno camminava dal porto fino a casa e gettava i semi della frutta che mangiava lungo la strada, così si è creato questo lungo viale di alberi da frutto che sono alla base di molti liquori e alcolici locali. Anche la bandiera della città ne porta le caratteristiche.
Gli uomini si guardano intorno cercando stemmi o bandiere, ne notano una semi nascosta che riporta due cerchi: in uno c’è un limone (che sembra più la ruota di un carro, perché disegnato molto male) dell’altro cerchio non riescono a decifrare il contenuto, anche se Polena sia convinta sia una tetta.
L’oste si chiama Peter Stargardt e, con l’aiuto di Polena che lo aiuta a trovare una bottiglia fuori posto, offre al gruppo un assaggio di Millanta descrivendone le caratteristiche.
– Oste : “non so se dalle vostre parti ci sia della frutta, ma è come una sorta di
macedonia. Questo liquore proviene dalle terre della Magocrazia e si dice che
ognuno senza un sapore differente ad ogni assaggio”
Divertiti e incuriositi, quasi tutti, da questa curiosa macedonia liquida, decidono di provarla. Daniels spinge Becco ad annusare per primo, ma non conclude molto, a parte la confusione nel vedere un liquido color Rosa odorare di Banana. Zatarra cerca di intuire le intenzioni dell’uomo, non è del tutto sicuro, le sue parole risultano veritiere anche se con una vena minacciosa. Non sembra ostile, ma si capisce che sta studiando i nuovi arrivati esattamente come loro stanno studiando lui. Khelgar invece si guarda intorno, ma a parte occhi curiosi che fissano Polena e Becco, non nota niente di particolarmente diverso da una qualsiasi bettola già incontrata. Daniels cede tranquillamente il suo bicchiere a Becco che, entusiasta del sapore magico, decide di scolarsi l’intera bottiglia, mentre Polena rapita dalla storia dei sapori che cambiano, assaggia uno per uno tutti i bicchieri dei compagni, convinta che ogni sapore sia associato alla personalità e cerca di trarre le sue bizzarre conclusioni. Il bicchiere di Khelgar è pieno di un liquido color Menta, ma sa di Mandarino, quello di Zatarra ha il colore del Limone, ma il gusto di Ciliegie mature, il liquore di Polena è color Arancia, ma al sapore di Ananas, a Sokov viene servito un alcolico scuro quasi Violaceo che sa di Albicocca, quello Daniels, nonostante non lo beva, è trasparente al gusto di Pomodoro.
Mentre Polena e Becco sono rapiti dalla Millanta e Daniels rimane piuttosto silenzioso, Zatarra inizia a fare domande all’oste, chiedendo che aria tiri in città. Senza tirarla per le lunghe, l’uomo rivela che in città c’è un assassino che uccide le sue vittime con un tipo di veleno. I cadaveri ritrovati mostravano macchie e puntini rossi sulla pelle e sangue da ogni orifizio. Daniels inizia a ragionare. Dalla sua esperienza erboristica, il veleno potrebbe provenire da una pianta, ma non ne sa abbastanza della flora locale, dovrebbe chiedere più informazioni o consultare un compendio di Erboristeria locale. Anche Becco si informa meglio, cercando di capire se si tratti di un veleno che assomiglia a qualcosa che conosce già. Per ora è solo certo si tratti di un veleno e non di una malattia, ma avrebbe bisogno di confrontarsi con un cerusico o perlomeno di esaminare un cadavere.
Anche Polena, per quanto distratta dalla Millanta, cerca di fare mente locale riguardo questa strana serie di omicidi. Le macchie sulla pelle, il veleno… Perciò si affida all’istinto e l’unica cosa che sente è che l’oste gli sta rivelando davvero troppe informazioni per essere degli sconosciuti appena arrivati in città. Zatarra incalza con le domande e risulta che la serie di omicidi va avanti da qualche mese e che l’ultima vittima risale a due giorni prima. Chiede, inoltre, perché nessuno ha fatto nulla finora. A tutti viene in mente lo stesso pensiero e Polena, che notoriamente non ha peli sulla lingua, decide di parlare direttamente all’uomo, sempre lusingandolo con le moine femminili di cui è maestra. Perciò si allunga sul bancone, prendendogli le mani e accarezzandole, mentre chiede:

– “Perdonate caro Peter, ma dite a tutti i nuovi arrivati queste cose? Non è affatto una bella presentazione per la vostra città.”
L’oste, rispondendo anche alla domanda di Zatarra, sul perché nessuno abbia fatto
qualcosa finora, risponde:

– “ Nessuno dà retta al vecchio oste cieco ”.
Polena, la sola che riesce a notarlo dalla posizione in cui è, vede che sotto la benda ha due cicatrici al posto dei bulbi oculari, frutto di una brutta operazione, quasi come se fossero stati asportati malamente. Allora incalza:
– Polena : “mio caro, mi sto solo chiedendo se ci state dicendo tutto ciò per metterci in guardia o per chiederci aiuto, siete senza dubbio un uomo di buon cuore ad aprirvi così tanto per noi…”
In quel momento le stelle sulla benda che porta sugli occhi si illuminano per un momento e l’Oste, quasi sorridendo:

– “posso mettere a disposizione il mio talento”.
A tutti è chiaro che l’oste ha capito che non sta parlando con dei mercanti, perciò rompe ogni indugio chiedendo apertamente se il gruppo si occupi di omicidi, furti, tortura o altro. Zatarra risponde seguendo alla lettera la copertura, senza mentire più di tanto, ma neanche senza esporsi più del dovuto, le remore nei confronti dell’uomo rimangono molto forti.
– Zatarra : “Ma no, è stato semplicemente fatto uno sgarbo ad un amico e se lo aiutiamo ci farà un ottimo prezzo per un affare che stiamo commerciando”
– Daniels : “l’uomo che ha fatto questo sgarbo è stato avvistato un mese fa qui a Stadtrich..:”
– “Ed è in fuga da un anno” – aggiunge Sokov
– Zatarra: “e magari è ancora qui”
– Oste : “beh, avete il nome di quest’uomo? una descrizione?” il gruppo fornisce tutte le informazioni in loro possesso. “E a chi avrebbe pestato i piedi?” a questa domanda decidono di non rispondere, affidandosi alle abili arti supercazzolatorie ed evasive di Zatarra.
Dopo un attimo di silenzio l’oste chiede: “Siete seguaci di Prinaa?”intuendo si tratti di una divinità locale, ma totalmente allo scuro di ciò il gruppo fa spallucce, Daniels si volta a cercare Khelgar che però, pur essendo sacerdote, ancora non ne sa molto.
L’oste perciò prosegue: “Ah giusto, siete qui da poco, sapete Prinaa è la dea della vendetta e del tradimento” e con un tono al confine tra sarcasmo e sincerità, aggiunge “sapete, non posso aiutare chi non è di buon cuore…”
Zatarra : “Noi facciamo solo un favore ad un amico in cambio di un buon prezzo sugli affari, niente di più”
A quel punto l’oste decide di rivelare le informazioni in suo possesso:
“Si vede spesso con un altro uomo, siedono sempre a quel tavolo laggiù” e indica con la mano un tavolo in fondo alla stanza. “Lui ha un odore metallico forte…un odore metallico e di lacrime e erba tagliata”.
Gli uomini iniziano a cercare un nesso, chiedendosi se l’odore metallico sia quello del sangue, ma dovrebbe trattarsi di molto sangue per far sentire forte l’odore.
“l’altro uomo ha una voce molto bassa, parla sempre come se cospirasse”
e conclude: “Se vengono stasera, vi faccio un cenno quando entrano”
Zatarra, intuendo che se l’oste fa un favore al gruppo, poi loro dovranno investigare per lui sugli omicidi, rifiuta il suo aiuto, aggirando la richiesta. L’oste lo ignora parzialmente e decidono comunque di sedersi intanto ad un tavolo per decidere come proseguire.
Mentre parlano, bevono e decidono se abbia senso rimanere lì ad attendere, forse invano, o se sia meglio andare a cercarlo in giro per la città, la porta si apre e ne entra un uomo con un lungo mantello e un cappuccio nero calato sulla testa.
Al suo ingresso l’oste fa un cenno al gruppo e subito dopo fa un cenno anche all’uomo. Lo sconosciuto scatta istantaneamente fuori dalla porta dalla quale è appena entrato e fugge via.
Becco, Polena e Sokov si lanciano all’inseguimento dell’uomo attraverso la porta principale, gli altri tentano di uscire da una finestra laterale, per non perdere tempo attraversando tutta la taverna.
Zatarra si alza di scatto dal tavolo e impugna lo scudo, gettandosi contro la finestra.
Purtroppo calcola male la grandezza dello scurdo rispetto alla finestra e impatta rovinosamente, rompendo il vetro e rimbalzando all’indietro. Khelgar e Daniels evitano abilmente l’intoppo e riescono a scavalcare Zatarra e passare oltre la finestra.
Dall’altro lato Polena e Sokov svoltano l’angolo della taverna, intravedono gli altri che stanno tentando di uscire dalla finestra e l’uomo incappucciato correre attraverso la via del frutteto e si mettono all’inseguimento.
Becco subito dietro di loro, inciampa rovinosamente sul tavolo di fianco al loro, poi su quello dopo e su quello dopo ancora, cadendo a terra a 4 di spade, ai piedi dell’oste che lo squadra malissimo. Becco quarda l’oste. L’oste “guarda” Becco.
Becco alza una mano e sorride: “un po’ Millanta?”
Durante la corsa forsennata, Sokov impugna il suo martello e prova a lanciarlo all’uomo in fuga. Il colpo è straordinariamente preciso e finisce al centro delle scapole. Vedono chiaramente l’uomo incassare il colpo ed emettere un grido di dolore, ma questo non ferma la sua corsa, gli fa però cadere un oggetto, forse una scarsella.
Appena saltato oltre la finestra, Daniels vede Polena e Sokov sfrecciargli accanto, adocchia l’uomo colpito dal martello continuare a correre e la scarsella caduta a terra. Senza ombra di dubbio, si avvicina e recupera l’oggetto a terra per vederne il contenuto.
Anche Khelgar, uscito insieme a Daniels dalla finestra, osserva la scena, impugna l’arco e mira all’uomo in fuga. Come per Sokov il suo colpo è estremamente preciso, ma altrettanto abile è l’uomo nel tener cara la pelle. Il misterioso uomo incappucciato schiva la freccia di Khelgar e prosegue la sua corsa a zig zag per evitare altri colpi.
Anche Zatarra riesce finalmente a scavalcare la finestra, non senza una sequela di vigorose bestemmie, vede gli altri e si avvicina a loro. In quel momento Daniels sta estraendo dalla scarsella un biglietto, sul quale sembra appuntato un indirizzo, una boccetta con un liquido rosso che sembra sangue e una chiave.
Polena è la più vicina all’uomo in corsa, prima o poi qualcuno dei due si stancherà, ma la donna non vuole smettere di inseguirlo, forse motivata dalla rabbia verso quel doppiogiochista dell’oste.
Mentre corre, estrae dalla giarrettiera il suo pugnaletto speciale (quello dedicato a Khelgar) e cerca velocemente con lo sguardo qualcosa che possa far cadere addosso all’uomo. Mira ad un vaso su un balcone. Il pugnale fende la nebbia come un pesce spada le onde e il colpo va in porto, il vaso colpisce alla spalla l’uomo che perde velocità.
Inaspettatamente però decide di fermarsi e voltarsi verso la donna che si sta velocemente avvicinando a lui, mormora qualcosa di incomprensibile a Polena che, in un momento, si ritrova paralizzata e impossibilitata a fare un passo.
L’uomo si ridà alla fuga e si perde nel buio dei vicoli.
Mentre Polena attende la fine dell’incanto, per tornare dai suoi, piuttosto incazzata, Zatarra torna in taverna a recuperare Becco, che nel frattempo si era comodamente seduto ad un tavolo a sorseggiare Millanta. Lo prende per la collottola e lo porta fuori, tra i lamenti dell’uomo capra.
Oste : “Lo avete preso?”
Zatarra : “ABBIAMO PRESO IL BUON CUORE DI CHI NON TI ABBIA GETTATO A
FIUME DA BAMBINO, Grazie mille”
Oste : “Beh, vi facevo più abili e più agili”
Zatarra : “Se non ci avesse venduto, forse ci saremmo riusciti facilmente”
Oste : “ma io non ho venduto nessuno, avevo un accordo con lui e uno con voi”
Zatarra : “Sì, avete un grande talento, ma non sono affatto d’accordo su come viene
applicato. Detto ciò la ringrazio di tutto e arrivederci”
Allontanandosi dalla taverna, per parlare in un luogo più appartato, il gruppo cerca di fare il punto, anche in base al materiale perso dall’uomo misterioso in fuga.
Confrontando le conoscenze mediche, erboristiche e alchemiche, Daniels, Becco e Polena concordano che si tratta di sangue, probabilmente umano seppur alterato da qualcosa che lo rende ancora fluido nonostante non sia stato appena prelevato. Non è caldo, ma neppure rappreso.
Non sapendo cosa farsene della chiave, per il momento, decidono di interessarsi all’indirizzo segnato sul biglietto. Dall’oste scoprono che quello che inseguivano era l’altro uomo con cui si incontrava solitamente Arvo, quindi si prendono qualche minuto per decidere se separarsi, lasciando qualcuno in taverna ad aspettare nel caso si presentasse il loro uomo.
Polena rende noto agli altri che, nel momento in cui l’uomo si è girato per lanciarle un incantesimo, ha notato un medaglione al collo e che forse, avendo del vantaggio ha già avvisato Arvo. Ma separarsi non è mai una buona idea e decidono, pertanto, di proseguire all’indirizzo segnato sul biglietto, chiedendo indicazioni ad una vecchia scesa in strada a raccogliere il vaso caduto dal suo balcone.
L’indirizzo porta il gruppo ad un edificio nel centro urbano, una casa ad un piano, con le finestre serrate. Girando attorno al palazzo, qualcuno nota una piccola finestra rasoterra, che fa intendere un piano interrato, alla quale non è possibile accedere perché chiusa da pesanti sbarre di metallo.
Daniels fissa le sbarre e mentre estrae Mangiaruggine dice: “beh, le sbarre non sono
un problema”
Nel frattempo Khelgar e Zatarra osservano la casa e Becco e Sokov fanno un giro per vedere se notano qualcosa di anomalo. Polena invece, probabilmente rancorosa verso l’uomo che le è sfuggito, si guarda intorno, nei vicoli circostanti, cercando qualcosa di strano.
Nota immediatamente che c’è uno strano silenzio e, piuttosto strano, per una città portuale, si accorge che finora non ha visto nemmeno un topo.
Mentre si aggira lentamente nei dintorni della casa le viene in mente un’idea e la comunica agli altri: qualcuno potrebbe salire sul tetto per avere una visuale migliore o anche tenersi pronto nel caso arrivasse qualcuno.
Viene scelto casualmente Khelgar, il cieco, che senza troppa fatica si arrampica sul tetto del palazzo di fronte. Non vede persone nascoste nell’ombra, ma nota che sul tetto del palazzo in questione sono posizionate delle casse di pagliericcio, assolutamente senza senso. Mentre, ancor più interessante, sul palazzo a fianco, una cassa con delle bottiglie di vetro che sembrano Molotov pronte all’uso.
Il tetto è distante circa 6 metri, perciò Khelgar scende, mentre sull’altro tetto sale l’agile Becco che prende tutte le bottiglie e nota una botola d’accesso al tetto e la blocca con lo spadino.
Non avendo molto tempo, decidono di entrare a vedere cosa ci sia di interessante nell’edificio, ma passando dalla finestrella del seminterrato e non dalla porta principale.
Mangiaruggine sbriciola con facilità le sbarre, consentendo l’accesso.
Il primo a scendere è Khelgar, la stanza è buia e sente sul fondo qualcosa di morbido. Polena lo segue con un accendino, che tiene in alto stando attenta a non bruciare tutto, il pavimento è infatti ricoperto di erba tagliata.
A tutti vengono in mente le parole dell’oste e si chiedono se anche l’odore delle lacrime avrà senso a breve.
Con la flebile luce dell’accendino riescono a riconoscere quello che sembra un laboratorio alchemico, pieno di alambicchi e provette. C’è un forte odore di sangue, le pareti sono tappezzate di schemi e fogli scritti a mano, sulla parete a sinistra uno stabulario contiene vaschette di topi, alcuni morti e altri vivi sui quali, probabilmente, sono stati fatti esperimenti. Di fianco un piccolo orto pieno di trifogli innaturali. Mentre sulla parete in fondo, dietro la scrivania del laboratorio, ci sono due armadi, uno più grande chiuso a chiave e uno più piccolo.
Zatarra e Sokov ispezionano sommariamente, per poi posizionarsi vicino alla porta che conduce al piano di sopra, anche in caso arrivi qualcuno improvvisamente.
Becco e Daniels, con occhio sapiente, cercando di capire che esperimenti venivano condotti in quel luogo e cercano di interpretare ogni appunto, diario e libro che trovano. Trovano indizi confusi riguardo un veleno, con informazioni sulle dosi e sulle conseguenze. il veleno sembra fluidificare il sangue in una maniera così potente da distruggere le mucose e quindi portare al sanguinamento, come descritto dall’oste poco prima,
Khelgar e Polena curiosano nella stanza e si avvicinano agli armadi, ci mettono poco a capire che la chiave nella scarsella dell’uomo incappucciato apriva l’armadio più piccolo. Nel grande armadio trovano appunti, provette di sangue (ne sembra mancare una che è certamente quella in loro possesso) e dei cuccioli di topo. Sembra essere un magazzino di materiali e documenti.
Prendendo la chiave, Khelgar e Polena aprono l’armadio più piccolo.
Il borbottio e i commenti di Becco e Daniels riempiono il silenzio della stanza intervallati dai passi metallici di Sokov e Zatarra, improvvisamente un sospiro pieno d’orrore e un grido spezzato in gola attirano l’attenzione di tutti.
Khelgar e Polena sono paralizzati davanti alle ante aperte del piccolo armadio e guardano con orrore il contenuto. Tutti si voltano a guardare.
Sul fondo dell’armadio, appeso a ganci e tubi metallici, è sospeso il corpo smembrato di un bambino dalla pelle diafana. Gli arti connessi a tubi, collegati ad un meccanismo alimentato da una gemma, che mantiene in vita il piccolo essere umano. La pelle chiarissima è cosparsa di macchie e petecchie rosse, che ricordano i punti descritti dalle vittime del veleno.
In un attimo la testa del bambino si alza leggermente e a fatica, gli occhi si aprono, glauchi e spenti e dalla bocca fuoriesce una parola, quasi bisbigliata a fatica:
“Papà?” e in un attimo la testa ricade sul petto.
Di tanti orrori visti per mare, di tante torture e omicidi vissuti, nulla era paragonabile a quello che stava davanti ai loro occhi.
Con un gesto rapido e istintivo, Daniels strappa i cavi e usa Misericordia sul piccolo bambino. Ognuno dei presenti cerca di elaborare quella vista come può.
Improvvisamente Sokov inizia a tremare, gli cadono le armi dalle mani, un brivido freddo scorre lungo la schiena e non riesce a muovere un passo, quasi neanche a battere ciglio. Come per un tuffo nell’acqua ghiacciata, si riprende di colpo solo quando il corpo del bambino viene coperto da un telo da Polena, che nel frattempo pensa di essere sempre più convinta che avere figli sia orribile. Zatarra stacca dal macchinario la gemma e tutto cessa di muoversi e fare rumore.
La stanza piomba nel silenzio.
Sokov nel frattempo si era raggomitolato in un angolo, cercando di tenere a bada l’eco del suo trauma, uscito prepotente e inaspettato. Polena lo ha soccorso, dandogli un sorso di rum e un bacio sulla fronte.
Daniels si rende conto che non hanno molto tempo, probabilmente qualcuno starà per arrivare. Così prendono velocemente quanto più materiale possibile, avranno tempo nel viaggio di ritorno per studiarlo a fondo, e si avviano silenziosamente al piano di sopra.
Decidono di rimanere in silenzio, pronti all’azione, non appena qualcuno entri dalla porta. Passano circa 20 minuti in un silenzio di un’attesa che sembra infinita, in cui ognuno inevitabilmente ripensa alla scena appena vissuta.
Quando all’improvviso, la porta viene spalancata ed entra un uomo con fiatone. Con un balzo tutti si fiondano su di lui bloccando a terra. Sokov e Zatarra resistono all’impeto di massacrarlo, anche se qualche colpo alle rotule lo fa urlare di dolore, mentre Khelgar sta già cominciando a torturarlo dai tendini della gamba.Fa appena in tempo ad urlare: “MIO FIGLIO, CHE AVETE FATTO A MIO FIGLIO?!”che Daniels lo imbavaglia, mentre Polena comincia a legarlo. Scendono per uscire dalla finestrella dalla quale sono entrati, ma Khelgar mette fuori la testa e trova l’uomo incappucciato che avevano inseguito poco prima con altri 4-5 uomini al suo fianco, nel frattempo Becco va alla porta principale e vede che lì c’è un solo uomo e corre velocemente tra il piano terra e il seminterrato per informare tutti. Decidono perciò di uscire dalla porta principale.
A chiudere la fila, Polena versa il rimanente della sua fiaschetta creando una fila che parte dalla finestrella fino alla cima della botola al piano di sopra, pronta a dare fuoco.
Daniels prova con il suo parlay ad affrontare l’uomo all’ingresso, funziona parzialmente, ma lo colpisce alla gola così da non poter urlare. Il sangue gli schizza però negli occhi e inizia a inveire, cercando di pulirsi come meglio riesce.
Escono tutti e decidono di darsi alla fuga, approfittando del vantaggio che hanno sugli altri, dietro l’angolo del palazzo. Sokov trasporta il corpo svenuto di Arvo, Becco si tiene pronto a lanciare qualche molotov per fermare, o perlomeno rallentare, l’eventuale inseguimento dei 5 e Polena accende un fiammifero e dà alle fiamme l’edificio.
Appena cominciata la fuga silenziosa, gli uomini girano l’angolo e partono all’inseguimento. Con un movimento fluido e straordinariamente preciso, Becco dà fuoco a una delle bottiglie di molotov che conservava e la lancia verso gli inseguitori. La bottiglia si spacca esattamente sul volto dell’uomo incappucciato e schizza sugli uomini ai lati. Tutti fanno un balzo all’indietro e il gruppo continua a correre lasciandosi alle spalle un uomo urlante di dolore, che si tiene il volto, in mezzo alle fiamme.
Tornando verso il porto, passano velocemente davanti alla taverna. Lo sguardo dell’oste viene contraccambiato da qualche Bestemmia dei pirati in fuga e un “Grazie Millanta” di Becco. Il diplomatico Zatarra lo informa che il suo assassino non c’è più e tutti salgono velocemente a bordo.
Mentre la nave fa manovra sul porto e prende la rotta di casa, i pirati si accorgono che a bordo sono state nascoste delle bottiglie di Millanta e un piccolo diario.
Sul diario sono riportate delle informazioni riguardanti la divinità Tristra, dea della notte e dei segreti. E in fondo una scritta, chiaramente da parte dell’oste: GRAZIE.
Sokov, orgoglio del suo capitano, decide di tenere Arvo senza cibo per tutta la settimana di viaggio che li aspetta, nel frattempo Becco e Daniels studiano gli appunti di Arvo e Polena si interessa del diario riguardante la dea Tristra, scritto dall’oste, chiaramente seguace del culto e ripensa a quel figlio di puttana cieco a cui brillavano gli occhi che non aveva.
Nella settimana di viaggio fino all’ex isola di Leida, scoprono che l’uomo incappucciato era un sacerdote della dea Prinaa della Vendetta e del Tradimento.
Un lungo brivido freddo scorre sulla schiena di Becco nell’immaginarlo sfregiato dal fuoco e bramoso di vendicarsi su di lui.
Negli scritti non c’è menzione all’oste, forse complice occasionale nella vicenda, ma comprendono ora il significato dell’Aquila denutrita sull’insegna della locanda: un rapace che perde la vista, muore di fame.
Arvo era solo un uomo che cercava una cura per la malattia congenita del figlio causato da un difetto di coagulazione del sangue. Purtroppo nel tentativo di trovare una cura, non ha fatto altro che ricreare un veleno che causa le stesse caratteristiche della malattia, ovvero rendere il sangue più fluido rallentando la coagulazione.
Arvo non riuscì a proseguire i suoi studi perché il figlio venne ucciso dall’ultima ematotassa, perciò costruì un sistema per mantenerlo ancora in vita, anche se dipendente da un macchinario.
Molte parti della storia rimangono ancora oscure alla ciurma, come sapere in che modo il Sacerdote ha aiutato Arvo, Sono riusciti senz’altro a chiarire il mistero della serie di strani omicidi della città e il perché dell’assenza dei topi, utilizzati negli esperimenti nel laboratorio. Arvo è a bordo della nave della Ruota Dentata e la missione per conto di Konrad è compiuta.
Con un pò di amarezza di fondo, molti dubbi, tante nuove informazioni e molta Millanta, gli uomini sono certi che di buoni in questa storia non ce ne sono.
E la nave si allontana dal porto, si inoltra nella nebbia, facendo rotta verso casa.

piccole curiosità:
1) Il veleno di cui parla questa avventura della Ruota dentata è realmente esistito e si tratta del Warfarin , un farmaco anticoagulante tuttora in commercio.
Tutto ebbe inizio negli anni Venti del Novecento nelle fattorie del Midwest degli Stati Uniti. Gli allevatori vedevano le loro mandrie decimarsi a causa di una misteriosa malattia che provocava un’ emorragia inarrestabile nei bovini.
Fu individuata una componente nel foraggio (un tipo di trifoglio) che con la maturazione causava il disturbo, senza però riuscire a capire il perché.
Qualche anno dopo, nel 1933, un allevatore, Ed Carlson, percorse più di 300 km dalle campagne fino all’Università del Wisconsin. Sul suo furgoncino portò tutto ciò che ritenne utile: il foraggio, il sangue che non coagulava e, ovviamente, il corpo del reato (la carcassa di una mucca).
All’università di imbatté in Karl Link , un biochimico che però non gli fu di nessun aiuto, almeno nell’immediato.
Link, colpito dalla storia di Carlson, mise infatti il suo team al lavoro per trovare il responsabile chimico della morte delle mandrie degli allevatori del Midwest. Dopo sette anni, ecco la risposta: il dicumarolo , una molecola in grado di inibire la coagulazione del sangue. Nei primi anni una variante della molecola, che prenderà il nome di warfarin, sarà usata come topicida, sfruttando l’effetto collaterale del sanguinamento e la particolare sensibilità dei roditori a questa sostanza.
Fu chiaro abbastanza presto che il warfarin poteva essere utile anche nell’uomo (il farmaco con il nome commerciale di Coumadin fu approvato nel 1954) per fluidificare il sangue, ma i medici erano restii a prescrivere un veleno per topi…
Nel 1955, il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower chiese di essere curato con il miglior farmaco in circolazione per la sua trombosi coronarica. E ricevette proprio il warfarin , fortunatamente azzeccando la giusta dose senza farlo sanguinare a morte da ogni orifizio.
segue link di un simpatico video a riguardo:
Blood, rats and anticoagulants: The story of warfarin
2) Se ve lo state chiedendo, invece no, purtroppo la Millanta non esiste IRl. Per ora.
3) il nome dell’oste dell’Aquila denutrita deriva da due malattie genetiche con componente oculistica: La Sindrome di Peters plus e La malattia di Stargardt.
4) in ultimo, un simpatico disegnetto del nostro Becco che riassume i momenti salienti della giocata.